REWIND TOUR
ROMA 23 GIUGNO 1999
Stadio Olimpico

...ecco alcune foto tra le più belle!!
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"Nessuno muore mai completamente,
qualche cosa di lui rimane sempre vivo dentro di noi,
VIVA MASSIMO RIVA"

...e questo è l'articolo de "Il messaggero"

ROMA - Due concerti invece dell'unico previsto, quasi 60mila persone, 28mila a serata, ad applaudirlo: così la Capitale ha risposto al Rewind Tour che Vasco Rossi ha portato ieri e questa sera alla Curva Sud dell'Olimpico. Uno spettacolo, quello del rocker di Zocca, lineare, impeccabile, vigoroso, robusto e dolce, dove non mancano i momenti irruenti ma c'è spazio per la riflessione, il ricordo - dell'amico Massimo Riva recentemente scomparso - e la passione pare stemperarsi ma resta sempre viva.

Va detto che una scenografia migliore non la si poteva trovare, il palco mai come questa volta è parte integrante, è lo show, non mero involucro: completamente aperto, in alto e ai lati dove troneggiano due alte torri sorrette da 48 fibre ottiche che cambiano continuamente colore, due bracci metallici - ricordano quelli usati anni fa da Peter Gabriel - che frugano artisti e pubblico con le loro innumerevoli luci, l'orologio Swatch che segna il tempo Internet, 600 fari, parecchi stroboscopici, megaschermo centrale ad altissima definizione e certi occhiali-microcamere, spettacolari, che indossa Rossi. Una meraviglia che però non riesce a fagocitare, svilire, sminuire la smisurata vitalità di Vasco e dei suoi: anzi, è forse proprio in questo laboratorio altamente tecnologico che si confronta con l'umanità, la fallibilità, la bravura di musicisti e cantante che si alligna l'elemento in più dell'intero show.

Vasco, tutto vestito di cuoio nero, appare all'improvviso nel buio sul palco viola, fumigante: accanto a lui ha un vecchio amico, il chitarrista Maurizio Solieri, insieme attaccano, l'hanno scritta loro, Lo show e i 28 mila del pubblico - sotto al palco c'è il figlio avuto da una ragazza romana, il biondo e bello Davide, 12 anni, col cuginetto - capiscono che sarà una notte fatta di rock, di quello che ti scortica pelle e cuori, ti rallegra una bella vita, "di quelle che non muoiono mai".

Se credevate che con gli anni il ragionier Rossi si era addolcito avete sbagliato di grosso, non salta e si dimena come un tempo - il farlo susciterebbe ilarità, Rossi è uno serio - ma lo spirito è quello giusto. Così come quello dei musicisti con cui divide la scena, vale a dire i tastieristi Alberto Rocchetti e Frank Nemola, suona anche la tromba, il sassofonista e flautista Andrea Innesto, il bassista Claudio "Gallo" Golinelli, la dotatissima, in tutto, corista, Clara Moroni, il bel Solieri e gli statunitensi Steff Burns, chitarra solista, e Jonathan Moffett, batteria, gente che convince. E tramortisce.

Si prosegue con Sballi ravvicinati del terzo tipo, Rewind, Nessun pericolo per te, Blasco, pagine della vita del Vasco nazionale, Ormai è tardi, Stupendo, di nome e di fatto. La notte si fa elettrica con la sei corde virulenta di Burns, Moffett e Golinelli sono ritmica poderosa, Rocchetti, Nemola e Solieri, all'acustica, sembrano defilarsi ma sono validi quanto e come Clara.

Jenny è pazza, quell'angelo disperato di Sally, quella de "perchè la vita è qui", verso che ti strappa l'anima, L'una per te, Senza parole, Vivere, rischiarata dall'ottimo Solieri, Mi si escludeva, Golinelli stantuffa il tenebroso basso, è Gli spari sopra, qui è Burns il protagonista quando si attorciglia e sventra quasi la chitarra con assoli a raffica, Delusa fino a Io no, la chiusura dopo la scherzosa presentazione del gruppo.

Sono passate da poco le 23 quando sul megaschermo appare, fumando e con l'acustica a tracolla, Massimo Riva. Le immagini sono del concerto di Imola dello scorso anno, canta Quanti anni hai. Il gruppo conclude il pezzo, Vasco, con voce strozzata dice "Nessuno, nessuno muore mai completamente, qualche cosa di lui rimane sempre vivo dentro di noi, viva Massimo Riva", al che i 28mila esplodono in un memorabile, interminabile applauso: è quello il miglior omaggio a Massimo che da qualche parte starà guardando col suo sguardo ironico. Gli angeli è il pezzo giusto per ricordarlo, incorniciato da un batter di mani che sembra non voler finire mai e l'assolo finale, micidiale, del virtuoso Burns. Va via, Rossi, ma parte l'ola festosa, si urla "olè olè olè olè Vasco Vasco". Bisogna tornare. C'è chi dice no. Bollicine. Vita spericolata, magnifiche le svirgolature del sax di Innesto, pezzi che lo hanno fatto scoprire, amare, bramare, idolatrare, e tutti, tutti, tutti cantano.

Baccano e urlio dei 28mila non si placano. E vai, allora, col piano del caprino, visto il pizzetto rosso, Rocchetti, è Albachiara, col gruppo che ruggisce, le luci che spazzano cielo, Curva, gente. Ultimo, struggente regalo, semplice e sincero proprio come lui, al suo popolo, parola fine di uno show dove i sentimenti sono ben radicati e gli assenti importanti, quanto e più dei presenti, prova di maturità ampiamente superata. A riprova che il rock, quello che ti fa sudare e sognare, il migliore, in Italia è sempre lui, Vasco Rossi.

di Paolo Zaccagnini
 

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